Mequitta Ahuja
(Grand Rapids, Michigan, MI, Stati Uniti, 1976)

Autocartography III, 2012


Acquarello, acrilico e matita colorata su pergamena di cotone
229 x 236,2 cm
[Photo: Copyright e Courtesy Mequitta Ahuja]


Convinta che l’identità sia qualcosa che ciascun essere umano debba auto-inventarsi mediante operazioni di ‘bricolage’ interculturale, Mequitta Ahuja delinea nelle sue opere una cosmologia personale attraverso l’appropriazione e fusione di fonti eterogenee e transculturali. Il suo stile pittorico è caratterizzato da figure femminili di colore, che, pur essendo sempre suoi autoritratti, si spingono oltre rispetto al concetto tradizionale di ritratto quale descrizione del contesto sociale di appartenenza. 

Gli autoritratti sono realizzati attraverso il processo definito dall’artista di “autocartografia” (da cui Autocartography III), un processo di mappatura della propria identità ed eredità svolto da Ahuja attingendo alle proprie radici indiane, africane, americane, e combinando allusioni all’iconografia religiosa, ai murales popolari, agli antichi manoscritti miniati e alle miniature indù. Fondendo altresì canoni artistici non occidentali con canoni occidentali, inserisce la propria molteplice identità ed esperienza culturale all’interno di una storia dell’arte universale. 

Mequitta Ahuja è stata insignita del 2018 Guggenheim fellowship award. Ha conseguito un MFA presso l’Università dell’Illinois. Tra le sue mostre museali ci sono: Portraiture Now, Smithsonian National Portrait Gallery; Marks of Genius, Minneapolis Institute of Arts; State of the Art, Crystal Bridges; Global Feminisms, Brooklyn Museum; The Bearden Project, Studio Museum in Harlem; Riffs and Relations, Phillips Collection. Il lavoro di Ahuja è apparso su “Modern Painters” e “New York Times”. Nel 2010, è apparsa su “ArtNews” come “An Artist to Watch”. Il 1° giugno 2007, Holland Cotter del “New York Times”, avvistando la sua mostra di debutto a New York, ha dichiarato: “Riferendosi al background afroamericano e indiano orientale dell’artista, le immagini trasformano la marginalità in una condizione regale”.


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